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venerdì 25 settembre 2009

l'ipocrisia e la morte

Avete letto bene. Parliamo dei parà morti a Kabul e di un Paese che sta morendo di ipocrisia.Muore quando il Presidente del Consiglio dice che è d’accordo su tutto con Obama, sull’emergenza clima come sulla lotta ai paradisi fiscali.
E invece tutta la sua stampa da sempre condanna “l’allarmismo ingiustificato sul futuro del pianeta” e lui stesso contemporaneamente cerca di contrattare al ribasso i tetti sulla Co2 con l’Ue.
E invece sponsorizza a colpi di maggioranza quindi “d e m o c r a t i c a m e n t e ” lo scudo fiscale anche per chi è responsabile di falso in bilancio, mandando in vacca un minimo di etica pubblica e un minimo di consequenzialità logica (che ti aspetti per il futuro, se non un peggioramento dell’andazzo “sanato” e quindi premiato?).Un paese che muore di ipocrisia quando il principale quotidiano di opposizione preferisce ignorare la notizia di un Letta indagato nel silenzio stampa di tutti ad eccezione di questo giornale piuttosto che rischiare di informare i suoi lettori della nascita di un altro giornale “d’area ”.




I DUE VOLTI ..............



Ma quale “area ” se scegli sempre e comunque il botteghino in luogo della completezza dell’informazione, persino se in ballo c’è un bersaglio dei tuoi (guai a dividere la realtà informativa tra amici e nemici…)?
Un Paese che stramazza di ipocrisia quando a colpi di “exit strategy”,formula che accompagna telegiornali, giornali radio e carta stampata sotto gli occhi della pressoché ignara “casalinga di Voghera”, maschera una guerra guerreggiata come "missione di pace”?

E il ricatto verbale, politico e culturale è il solito: non lo puoi dire, perché da un lato così facendo smascheri decisioni governative in partenza contrarie alla Costituzione travestite solo dal linguaggio.

Decisioni in realtà truccate a sfavore dell’intervento italiano anche in tema di “regole di ingaggio” difensive e pacificatrici, sulla pelle dei nostri soldati.

E dall’altro lato fai leva sui dividendi del dolore da parte dei parenti e dell’ opinione pubblica, dolore naturalmente sacrosanto così come l’onore ai caduti, ma forse meritevole di approfondimento nelle cause di tali morti.

Basterebbe legare i funerali di Stato, e tutto lo smercio mediatico all’incanto a base di “commozione e rabbia”, alle condizioni in cui avvengono le missioni.

Non sto parlando della famiglia di Pistonami, uno dei parà sepolto ier l’altro nel Viterbese, che segnala come il caduto da tempo avesse mosso dubbi sull’adeguata protezione dei blindati “Lince” esplosi a Kabul.

Il ministro La Russa ha confermato la promessa.

Si farà in futuro, a parà sepolti. Sto parlando parlando piuttosto della montagna di domande che giacciono presso l’Ufficio per l’impiego dello Stato Maggiore dell’Esercito o da parte dei volontari in divisa, che aspirano ad andare in missione: informatevi, anche qui senza raccomandazioni non si passa, non si può neppure rischiare la morte decuplicando però nei casi più pagati lo stipendio di partenza (850 euro).
Le indennità giornaliere previste sono 144 per l’Afghanistan, 177 per il Libano, 70 peril Kossovo, tanto per avere un’idea.
La Finanziaria di ier l’altro prevedeva 9 euro lordi mensili di aumento per i dipendenti pubblici.

Le cifre sono rudi, ma sono chiare.

Fendono l’ipocrisia che avvolge un po’ tutto e si incaricano di spiegare parecchio della situazione.



........DELLA MORTE.


Una “missione di pace” in realtà guerra di occupazione contro cui “s t r a n a - mente” da anni si battono i talebani, evidentemente non così invisi all’opinione pubblica, alla gente di strada (cfr. Massimo Fini qui, due giorni fa).

Morti per professione che però sono resi tali dalla necessità di guadagnare ai quali va tutto il nostro rispetto a condizione di svelarne l’ipocrisia di “ingaggio”.

Un’opinione pubblica cui si offre a distanza di dieci giorni il funerale pubblico di Mike Bongiorno “eroe della resistenza” secondo Berlusconi e quello di sei parà saltati in aria per “difendere la democrazia e la civiltà”.

Non c’è qualcosa che non va anche nell’uso di queste esequie di Stato?

Davvero si pensa che l’emotività popolare sub egida politica sarebbe offesa dalla verità delle cose?

E intanto Mike Bongiorno sopravvive a se stesso negli spot con Fiorello, mentre i morti sono morti e ai vivi in questo Paese dell’ipocrisia nessuno dice nulla se non quello che a parere della politica e dei padroni dell’informazione essi si vogliono sentir dire.

(tratto da: il fatto quotidiano)
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È giusto usare la parola “eroi”?
23-09-2009 di Paolo Collo

Le parole, tutte le parole, hanno un significato, o per lo meno, lo dovrebbero avere. In questi ultimi giorni, invece, e a proposito della tragedia dell’attentato a Kabul, sono state usate, sui giornali e nei mezzi di comunicazione, in modo assolutamente scorretto e fuorviante. Senza nulla togliere a quei sei poveri paracadutisti che hanno perso la vita facendo il proprio mestiere, e senza nulla togliere ai civili afgani che – pure loro – senza colpa, ci hanno rimesso le penne, sarebbe meglio riflettere proprio sulle “parole” che vengono usate e che ci vengono propinate. Non tanto per noi adulti che, probabilmente, sappiamo distinguere – a volte, non sempre – il vero dal falso, quanto per i cosiddetti “giovani” che forse sono un po’ meno smaliziati di noi.

Definire SOMMESSO un funerale di Stato, trasmesso in diretta, a reti unificate, con la partecipazione di governo e opposizione, col minuto di silenzio e il roboante passaggio dei nove jet delle Frecce Tricolori pare leggermente improprio.

Definire EROI quei sei poveri ragazzi barbaramente assassinati da un kamikaze annulla il significato stesso della parola “eroe”: “uomo famoso per valore e per imprese straordinarie e gloriose; nella mitologia, figlio di un mortale e di un dio” (dal Dizionario etimologico).

Definire ANGELI quei sei paracadutisti grandi e grossi e superaddestrati assassinati da un kamikaze significa assimilarli a dei neonati morti nella culla o a dei bambini periti in un incidente stradale o caduti in fondo a un pozzo.

Tenendo conto che, se eliminassimo le parole “sommesso funerale”, “eroi” e “angeli” dal vocabolario utilizzato per descrivere le recenti esequie e le sostituissimo con “funerale di Stato”, “caduti” e “ragazzi”, nulla toglieremmo a quei sei poveri ragazzi e ci guadagneremmo tutti in serietà e civiltà.



( Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tutt'ora consulente. Ha collaborato al supplemento "Tuttolibri" della "Stampa"; ora scrive per "Repubblica". E' curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa. )

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CHI CERCA DI CANCELLARNE LA MEMORIA

AIUTA LA CULTURA MAFIOSA.

A CASTELLI RISPONDO: SE CERCA IL RAZZISMO,

GUARDI NELLA LEGA E LO TROVERÀ
Oggi parliamo di morte.Patetico il tentativo di Castelli di invertire le parti; se si parla di razzismo è proprio dentro la Lega che bisogna cercare!
La decisione dall’amministrazione di Ponteranica non è solo segno di insulsa stupidità politica, ma è anche un pericoloso messaggio lanciato alla cittadinanza.
Per questo domani saremo sicuramente in tantissimi, in piazza, per far capire al sindaco e all'amministrazione di Ponteranica che la memoria di Peppino Impastato non si cancella, né ora né mai».
Vittorio Agnoletto, ex eurodeputato Sinistra europea, parteciperà domani, sabato 26 settembre, dalle 14.30, alla manifestazione a Ponteranica (Bg) per protestare contro la decisione del Comune di rimuovere la targa che intitolava la biblioteca a Peppino Impastato.
«Peppino – dichiara Agnoletto, che, tra l’altro, con Impastato ha condiviso il percorso politico di Democrazia Proletaria - va considerato un esempio di coraggio e tenacia per la sua determinazione nel combattere la mafia, un esempio che va al di là di qualunque appartenenza politica. Impastato è stato assassinato per la sua coerenza morale e per l'esempio che trasmetteva a tanti giovani come lui . Chi oggi cerca di cancellarne la memoria dal ricordo collettivo si presta, più o meno consapevolmente, al gioco e ai desideri dei mafiosi. Non vedo, non sento e non parlo: questo è infatti uno dei motti della mafia, ieri come oggi.



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BORSELLINO

E

FALCONE

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